L’EX CAVA FACCANONI POTREBBE DIVENTARE LA DISCARICA PER LO SMALTIMENTO DEI MATERIALI DI SCAVO DEI TERMINAL GAS. E NON SOLO.
Il Territorio Libero di Trieste ha pagato un prezzo pesantissimo a un sistema di smaltimento illecito dei rifiuti che per decenni ha potuto, al di fuori di ogni controllo, utilizzare ogni parte della più piccola provincia italiana per disperdervi ogni tipo di veleni. Dalle discariche sottomarine, a quelle sull’altopiano carsico, passando per le coste interrate a furia di scarichi di fanghi industriali super tossici, l’intero territorio ha subito questo saccheggio autorizzato dalle amministrazioni pubbliche colluse con le mafie dei rifiuti. Un disastro ambientale le cui conseguenze drammatiche vengono ora pagate dalla città, sia dal punto di vista economico, sia da quello sanitario. Per un’approfondimento sugli “anni d’oro” di queste ecomafie istituzionali si rimanda all’articolo “D come discariche” pubblicato sul nostro sito.
Ma questo “sistema” molto pratico di fare affare ai danni dell’ambiente e della salute pubblica non è mai morto. E d’altra parte sarebbe stato ben difficile che questo accadesse visto che, dall’alto delle protezioni istituzionali qui garantite, nessuno ha mai dovuto pagare per questi crimini (se non quelli che vi si sono opposti). In effetti, visti anche i fortissimi intrecci tra politica e imprenditoria, il “sistema” è stato semplicemente messo in “sonno” in attesa di tempi migliori.
Non può che preoccupare quindi che la nuova amministrazione comunale di Trieste a guida centrosinistra (sindaco Roberto Cosolini del PD) abbia tra le prime priorità indicato proprio quella della realizzazione di una nuova discarica per inerti per potere soddisfare le esigenze delle imprese locali (costruttori in testa). L’area scelta sarebbe quella della ex cava Faccanoni il cui bacino da circa 10 ettari potrebbe accogliere svariati milioni di metri cubi di rifiuti. Fossimo ancora nei ruggenti anni ’80, l’epoca d’oro dello saccheggio del territorio triestino, la discarica verrebbe realizzata senza esitazioni seppellendo l’intera cava sotto cumuli di rifiuti (la cava è stata scavata sulle pendici del ciglione carsico con un dislivello di circa 100 metri dalla base alla sommità). Ma ora, viste le leggi più restrittive, l’operazione rifiuti deve essere camuffata come opera di ripristino ambientale. Ed ecco così che spunta l’idea di riempire la cava di inerti da livellare progressivamente fino a coprire le pareti nude del ciglione carsico per poi piantarci essenze ed alberi. Questa sarebbe la rinaturalizzazione. Ma un’intervento di questo tipo pone non pochi problemi. Intanto questa cava è già stata utilizzata come discarica di emergenza per inerti con un precedente progetto di rinaturalizzazione miseramente fallito. Nessun albero era infatti riuscito ad attecchire sugli oltre 500.000 metri cubi di rifiuti scaricati senza particolari controlli. Ma ora se si volessero scaricare altri rifiuti sopra quelli già esistenti, sarebbe necessario accertare le caratteristiche chimico-fisiche di questi ultimi. Insomma verificare cosa si trova effettivamente nella prima discarica che verrebbe occultata dalla realizzazione della seconda. L’area che è sottoposta a vincolo idrogeologico, ed è un ambito di tutela ambientale, è inoltre il luogo meno adatto dove realizzare colline artificiali con pendenze che risulterebbero inevitabilmente elevate e con ridotte capacità di drenaggio delle acque piovane.
La realizzazione di una grande discarica di inerti nella provincia di Trieste corrisponderebbe perfettamente da una parte alle intenzioni ampiamente espresse dal neo sindaco Cosolini sul via libera alla speculazione edilizia nel Porto Franco Nord (ribattezzato per lo scopo “porto vecchio”) di Trieste, dall’altra alla realizzazione del terminale di rigassificazione a Zaule. Si tratterebbe in pratica di garantire costi estremamente ridotti per lo smaltimento rifiuti per consentire quella trasformazione urbanistica della città che porterebbe alla conversione del porto in area urbana nella parte settentrionale e di traffico combustibili in quella meridionale (dove, nel vallone di Zaule, verrebbe realizzato il terminal gas della spagnola Gas Natural-Union Fenosa). Si consideri a tale proposito che al momento non è ancora stato precisato dove verrebbero smaltiti gli ingenti materiali di scavo (in buona parte inquinati) provenienti dai cantieri dei due terminali di rigassificazione e dei relativi gasdotti nel Golfo di Trieste. Il solo impianto di Zaule prevede escavazioni di 2,3 milioni di metri cubi di materiali. E la cava Faccanoni avrebbe una capacità stimata superiore ai 3 milioni di metri cubi.
Sotto: sezione della cava Faccanoni con riempimento di inerti (precedente progetto).