GLI AMBIENTALISTI SLOVENI, CROATI, ITALIANI E TRIESTINI SI RIVOLGONO ALLA COMMISSIONE EUROPEA

Trieste, 22 settembre 2012

La gestione dell’emergenza rifiuti campani è avvenuta al di fuori delle procedure di controllo previste dalle normative comunitarie, creando una situazione ad alto rischio ambientale in molte regioni italiane e nei Paesi confinanti, in particolare Slovenia e Croazia. Questa la denuncia che gli ambientalisti sloveni, croati e italiani (triestini) delle associazioni Alpe Adria Green, Greenaction Transnational, Legamjonici hanno presentato alla Commissione Europea contestando la violazione delle Direttive 2008/98/CE, 2001/42/CE, 2008/50/CE e dell’art. 3 comma 3 del Trattato UE.

I rifiuti prodotti in Campania e accumulati da tempo in attesa di smaltimento definitivo sono il frutto di un sistema dalle caratteristiche prettamente illegali e spesso sotto il controllo diretto della Camorra che con i suoi  metodi “persuasivi” è riuscita ad infiltrare direttamente le istituzioni italiane.

Una situazione ad elevato rischio come quella Campana avrebbe richiesto misure di sicurezza straordinarie nella gestione dell’operazione di smaltimento dei rifiuti al di fuori dei confini regionali.

Misure di sicurezza straordinarie invece nemmeno pensate, visto che l’unico obiettivo del Governo italiano è stato quello di “fare sparire” il più rapidamente possibile i rifiuti della Campania scaricandoli in altre regioni italiane o in altri Stati esteri. E per fare questo si è agito in totale violazione delle stesse normative comunitarie e nonostante l’Italia fosse già sotto procedimento di infrazione da parte della Commissione Europea per l’emergenza dei rifiuti campani.

Ecco così che decine di migliaia di tonnellate rifiuti di dubbia origine e spesso senza alcuna verifica effettiva sulla loro qualità, sono state disperse in almeno sette regioni italiane (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Puglia) per venire smaltite in discarica o negli inceneritori. L’operazione si è trasformata in un colossale affare affidato ai privati che agiscono in base a procedure “speditive” con le quali vengono aggirati i controlli, obbligatori in base alla legislazione comunitaria.

Per potere completare in tranquillità questa maxi operazione l’Italia ha quindi ritardato l’entrata in vigore del sistema di controllo per la tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) rimandandola di un anno. Introdotto nel 2009, il Sistri avrebbe dovuto entrare in piena attività il 30 giugno del 2012. Il decreto legge 14/2012 di conversione del dl 216/2011 (cd. «Milleproroghe») aveva infatti previsto lo spostamento al 30 giugno 2012 sia del termine a partire dal quale gli adempimenti SISTRI avrebbero dovuto essere assolti dai medio-grandi gestori di rifiuti, sia del termine non prima del quale gli stessi adempimenti avrebbero dovuto essere imposti dal ministero dell’ambiente tramite proprio decreto ai piccoli produttori di rifiuti. Tale decreto all’ art. 13 comma 3 stabilisce quanto segue:‘3. All’articolo 6, comma 2, secondo periodo, del  decreto-legge  13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  14 settembre 2011, n. 148, le parole: «9 febbraio 2012» sono  sostituite dalle seguenti: ((«30 giugno 2012.»))’.

Ma il Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2012 ha inserito nel Decreto sviluppo una norma che posticipa l’entrata in funzione e il pagamento dei contributi per un massimo di dodici mesi, in attesa di verificare il reale funzionamento del sistema. Il rinvio era stato chiesto dal Ministro per l’Ambiente Corrado Clini sulla scorta dei risultati dell’indagine avviata da DigitPA, Ente nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. A differenza di altre proroghe, questa volta non è stata fissata una data. Il testo del Decreto sviluppo approvato dal Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012 riporta che: “vengono sospesi il termine di entrata in operatività del sistema per un massimo di 12 mesi e i conseguenti adempimenti delle imprese, ferma restando la disciplina di controllo preesistente”. Un anno di tempo che dovrebbe consentire “i necessari accertamenti sul funzionamento del sistema”, come spiega un comunicato di Palazzo Chigi.

Approfittando quindi della continuata emergenza della Campania in Italia si è adottata una legislazione parallela sui rifiuti che agisce in deroga a quella comunitaria, giustificandola quale unica possibilità per superare l’attuale fase di urgenza acuta (che dura peraltro da decenni).

La gestione al di fuori delle regole comunitarie ha investito direttamente i Paesi confinanti. Uno dei maggiori centri per lo smaltimento dei rifiuti campani (ad oggi almeno 26.000 tonnellate) è infatti Trieste, dove questi vengono bruciati nell’inceneritore che si trova a ridosso del confine con la Slovenia, e le sue emissioni (camino di 100 metri) – con ricadute al suolo e nell’ambiente marino del Golfo di Trieste delle letali diossine – investono direttamente anche la Croazia creando un serio problema di inquinamento transfrontaliero.