Un Porto Franco internazionale condotto volutamente al declino e utilizzato per traffici “riservati”. Una terra di confine trasformata in base logistica per disinvolte operazioni al di sopra della legalità. Un sistema di potere locale che si presta al gioco svendendo il proprio territorio e avendone in cambio assicurate impunità e privilegi economici. Organi di informazione asserviti al potere politico-economico che disinformano la popolazione rendendo credibili le menzogne del sistema. Un disastro ambientale compiuto nell’ombra di queste coperture istituzionali. Un gruppo di ambientalisti che si oppone alle devastazioni ambientali e ai traffici illegali di questo sistema di potere deviato con denunce efficaci alle istituzioni comunitarie. Un nuovo giornale indipendente che pubblica e appoggia ogni settimana le azioni degli ambientalisti legalitari ed inchieste sul malaffare, spezzando una catena di omertà pluridecennale.

È questo l’ambiente di una storia reale aggiuntiva. Una storia che si svolge nella città-porto di Trieste, capitale di un piccolo Stato indipendente tra Italia e Slovenia. Una storia particolare di fiera resistenza civile e di degrado della legalità democratica.

Il testo che segue ne è un’ipotesi ricostruttiva di massima che intendo inserire, dettagliandola e documentandola, nel mio libro “Tracce di legalità”. La sto pertanto diffondendo per verificarla anche attraverso opportune precisazioni, opinioni e se del caso anche smentite. Per le quali tutte vi ringrazio sin d’ora.

L’associazione ambientalista e per i diritti umani (Greenaction Transnational della rete internazionale Alpe Adria Green) riesce con le sue denunce a fare emergere la drammatica realtà di questo sistema di illegalità.

Denunce che portano ad interventi della Commissione Europea. Procedimenti di infrazione, sanzioni, inchieste a cascata. Cominciano a saltare alcuni finanziamenti comunitari. Il “sistema” è in allarme. Aveva potuto dormire sonni tranquilli per decenni all’ombra di coperture di Stato e mediatiche, che però ora non sono più sufficienti. Ora il rischio è che tutte queste porcherie nascoste vengano messe a conoscenza della popolazione. E che la popolazione si svegli e si ribelli civilmente. Bisogna mettere a tacere gli ambientalisti, ma bisogna anche tacitare quel coraggioso piccolo giornale che da loro inflessibilmente spazio. Quelle sue notizie e le locandine aggressive esposte nelle edicole che ogni settimana denunciano il malaffare sono “un pugno nello stomaco” per il “sistema”.

Ma come bloccare questa informazione fuori controllo? Il giornale ha una piccola redazione di persone motivate e combattive dirette da un giornalista investigativo serio: non sono ricattabili e non cedono alle pressioni. Allora bisogna agire sull’editore: è lui che garantisce l’uscita del giornale.

Come procedere allora? Semplice, basta avvicinarli e frequentarli, individuare i punti deboli e iniziare l’opera di demolizione. Possibilmente mettendo l’editore contro il direttore, che è invece un osso duro. I presupposti ci sono, dato che l’editore pubblica il settimanale per sue note rivalse contro il “sistema”, e si mostra sempre più complessato e sospettoso verso la figura emergente del direttore. Basterà seminare zizzania e lusinghe, insomma.

Un lavoro non difficile per gente preparata a svolgere attività riservate. E che qualcuno usa da tempo per tenere sotto controllo – illegale – gli ambientalisti. Con i quali, già sottoposti ad attività di repressione dissuasiva (intimidazioni, minacce, eventi giudiziari anomali) si potranno così far meglio i conti dopo. Ora la priorità è il giornale.

Anche perché ci si trova in campagna elettorale.

E il “sistema” del malaffare infiltrato nelle istituzioni non può permettere che in nessuna parte del Paese venga turbato l’ordine di illegalità costituito. Come se proteggerlo fosse interesse dello Stato. Mentre è anti-Stato, perché consiste nel perpetuamento – manipolando il voto anche con un’apposita legge elettorale antidemocratica in vigore – del governo trasversale di corruttele che continua ad essere alla base del sistema di potere italiano. E dire ai sudditi-elettori verità allarmanti mina l’anti-Stato.

Il settimanale triestino d’inchiesta, che è in edicola dal mese di maggio, non deve dunque arrivare oltre dicembre. E così accade. Qualcuno incoraggia l’editore ad usare il giornale per presentarsi lui alle elezioni violando la linea editoriale apartitica concordata col direttore, che perciò si oppone, mentre un potentato coinvolto dalle inchieste fa causa temeraria ad editore e direttore chiedendo un cospicuo risarcimento per la pubblicazione di notizie vere.

A questo punto gli “amici informati” avvertono l’editore che potrebbe invece perdere la causa, e che dalle intercettazioni telefoniche (politiche e illegali, mentre quelle legali contro la criminalità sono sacrosante) risulta che il direttore trama assieme agli ambientalisti ed altri, esprimendo su di lui giudizi offensivi e preparandosi a passare ad un’altra testata.

E così, subito dopo la pausa festiva natalizia, l’editore blocca a sorpresa il numero del giornale pronto per andare in tipografia, sconfessa il direttore facendo propri gli argomenti (infondati) del potentato nella causa, caccia lui e la redazione sospendendo le pubblicazioni e diffida verbalmente gli ambientalisti a girare al largo riferendosi a contenuti delle intercettazioni riferitigli.

Missione compiuta, dunque, per gli uomini delle attività riservate che qualcuno ha incaricato di far saltare questo unico caposaldo rigoroso della libertà d’informazione in città. Meglio che a pallottole e sparizioni fisiche come altrove nel Paese, direte. Certo, ma altrimenti come si fa a continuare a simulare che a Trieste tutto va bene?