LE INDAGINI SENZA ESITO SONO DURATE APPENA 38 GIORNI. È QUESTA L’ANTIMAFIA ITALIANA?

È terminata con l’archiviazione decisa dal G.I.P. di Trieste l’infruttuosa inchiesta sulla pesante intimidazione mafiosa nei confronti di Roberto Giurastante, ambientalista triestino, presidente di Greenaction Trnasnational e portavoce in Italia della rete ecologista Alpe Adria Green. Il 6 aprile 2010, in pieno giorno, Giurastante aveva trovato davanti alla porta della sua abitazione una testa di capra sanguinolenta mozzata. La testa dell’animale decapitato aveva ancora visibili lembi di pelle nera (il capro nero incarna in molte religioni il male). Un macabro messaggio di morte in puro stile mafioso. Ad indicare probabilmente nelle intenzioni degli autori un destino già deciso. Era la prima volta che un fatto simile accadeva a Trieste.

Roberto Giurastante ha seguito le principali inchieste sul traffico di rifiuti che ha trasformato la piccola provincia di Trieste in una delle aree più degradate dell’Italia. Un traffico illecito di rifiuti con forti compromissioni delle istituzioni. Un vero sistema criminoso frutto di un’alleanza perversa tra amministrazioni pubbliche, imprenditori e Stato.

Un sistema coperto emerso proprio grazie alle inchieste dell’ambientalista. Giurastante è anche autore di rilevanti denunce all’Unione Europea sul sistema di smaltimento illecito dei rifiuti in Friuli e a Trieste, sul rischio delle produzioni alimentari (allevamenti ittici, mitilicoltura, zone agricole) nelle aree inquinate, sulle carenze della legislazione italiana in materia di prevenzione dei rischi degli incidenti agli impianti industriali (legge Seveso), sul nucleare (norme Euratom), sulle violazioni degli appalti pubblici, e sugli inquinamenti transfrontalieri. Ma non solo. Giurastante è uno dei principali oppositori dei progetti dei terminali di rigassificazione nel golfo di Trieste. Progetti con giri di affari di miliardi di euro. Progetti fortemente appoggiati dal Governo nazionale.

Giurastante aveva già subito nel corso degli anni intimidazioni e minacce per le sue attività a difesa della legalità. E in ogni occasione le relative inchieste dell’autorità giudiziaria si erano rivelate deboli e inconcludenti.

Quando una minaccia di morte a caratteri cubitali di matrice nazi-fascista era stata tracciata contro di lui sul muro di un frequentato centro commerciale, il Tribunale di Trieste aveva archiviato l’inchiesta con la motivazione che Giurastante “godeva di inimicizie diffuse”.

Quasi a voler dire che il problema non erano gli autori delle minacce, ma l’ambientalista che le stava subendo. Perché con le sue denunce scomode stava mettendo in difficoltà il malaffare al governo del capoluogo del Friuli Venezia Giulia. Malaffare di governo da ritenersi legittimato dall’autorità giudiziaria che mai era intervenuta per bloccare il saccheggio del territorio. E solo grazie a questa intesa si era potuto realizzare uno dei più grandi disastri ambientali del Paese. Sul quale nessuno doveva indagare. Ma poi si è andati oltre.

Il 7 ottobre 2009 dopo essere stato sottoposto ad un violento attacco nel corso di una nota trasmissione televisiva di una seguita emittente del Triveneto, Giurastante aveva informato le autorità di pubblica sicurezza dei crescenti rischi a cui era sottoposto.

L’attacco disinformativo aveva lo scopo di appoggiare il rigassificatore progettato dalla spagnola Gas Natural a Trieste con il sostegno del governo Berlusconi (e l’avallo di un’opposizione silente) e di screditare gli ambientalisti che ne avevano invece rivelato i falsi tecnici e la pericolosità ambientale e pubblica con denunce alla magistratura ed all’UE, su documenti delle indagini giudiziarie, e ne avevano informato anche il governo sloveno che secondo le norme europee aveva il diritto di intervenire per gli impatti transfrontalieri.

Minacce di morte nei confronti di Roberto Giurastante sulle pareti di un centro commerciale a Trieste.

Nel corso della trasmissione, si assisteva ad una serie di accuse estremistiche assurde alla Slovenia, e Giurastante (lui non presente, nemmeno al telefono) veniva presentato come una specie di ecoterrorista mediatico attribuendogli dichiarazioni mai fatte, disinformazioni abituali e sabotaggi dell’economia triestina. Si trattava di un vero e proprio linciaggio disinformativo e diffamatorio per mezzo di informazioni false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. Ma nonostante tale situazione preoccupante non sembrava esservi alcun tipo di reazione concreta da parte delle istituzioni allertate. Anche se le stesse erano state informate dei collegamenti che proprio in quei giorni stavano emergendo tra la società spagnola Gas Natural ed ambienti siciliani riconducibili a “Cosa Nostra” (dichiarazioni di Giovanni Ciancimino rilasciate nella trasmissione televisiva “Anno Zero dell’8 ottobre 2009).

Che Giurastante fosse un soggetto a rischio era quindi ben evidente a tutti. Ma tutti sembravano disinteressarsene. E il 6 aprile 2010 si arrivava così alla nuova minaccia di morte di stampo  chiaramente mafioso. La testa di una capra davanti all’abitazione. Ci si sarebbe aspettati a questo punto una reazione decisa da parte delle istituzioni e misure di tutela per l’ambientalista sotto assedio. E invece nulla di questo.

La stessa conduzione delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria non può che lasciare perplessi. L’inchiesta, affidata al P.M. Pietro Montrone (quello dell’infelice inchiesta al fantomatico Unabomber, finita con l’incolpazione dell’innocente Elvo Zornitta) e delegata alla P.G. (Polizia Giudiziaria) dei carabinieri, si completava nel tempo record di 38 giorni, ed era come al solito senza esito. Infatti già il 14 maggio il P.M. ne chiedeva l’archiviazione.

Ma le indagini di P.G., durate appena dal 6 al 30 aprile, risultavano consistite soltanto nell’assumere ulteriori informazioni dalla persona offesa (ovvero colui che aveva subito la minaccia). Non veniva svolto alcun ragionamento investigativo per individuare soggetti od ambienti sospettabili in quanto disturbati dalle attività di denuncia del malaffare dell’ambientalista, e non veniva interessata la DIA (Direzione Investigativa Antimafia). Non venivano svolti gli accertamenti di polizia-scientifica sul corpo di reato (la testa del capretto), che avrebbero potuto fornire elementi utili ad identificarne la provenienza; tali accertamenti risultavano inoltre suggeriti dalla P.G., benché limitatamente a rilievi veterinari, ma inspiegatamente rifiutati dal P.M. Ed il tutto in relazione ad una minaccia riconosciuta grave e di stampo mafioso nella stessa ipotesi di reato per cui si procedeva. A completare questo ‘desolante’ quadro investigativo, la P.G. chiedeva al P.M., in alternativa alle analisi scientifiche, l’autorizzazione alla distruzione del corpo di reato, e Il P.M. senza esitazioni la autorizzava (5 maggio 2010), così vanificando la possibilità, e la prevedibile richiesta della persona offesa, dei necessari accertamenti di polizia scientifica.

La stessa motivazione della richiesta di archiviazione era poi più che discutibile; vi si legge infatti che:

“sono rimasti ignoti gli autori della minaccia grave commessa ai danni del GIURASTANTE e non si ravvisano, allo stato – anche in esito all’assunzione a verbale della persona offesa da parte dei Carabinieri – ulteriori indagini che possano condurre a concreti sviluppi investigativi.” aggiungendo che “in quest’ottica, pare inutile dare sfogo all’accertamento tecnico (suggerito dalla P.G. nella propria nota del 30.4.2010) sulla testa caprina mozzata, finalizzato a tentare di individuare il luogo di provenienza dell’animale ucciso, per l’evidente mancanza di concreta significatività che un tale dato, anche qualora acquisito, avrebbe per l’indagine”.

La richiesta di archiviazione risultava quindi palesemente infondata, e la sua seconda parte enunciava un assurdo investigativo consolidato con la distruzione arbitraria del corpo di reato.

Un’inchiesta perlomeno discutibile quindi. Ma il magistrato designato alle indagini non avrebbe nemmeno potuto occuparsene ed avrebbe anzi egli stesso dovuto astenersene essendo oggetto di inchiesta disciplinare a seguito di esposto presentato dall’ambientalista (persona offesa) in relazione ad altre indagini. Del fatto era inoltre informato il procuratore della Repubblica designante, dott. Michele Dalla Costa. Copia dell’esposto nei confronti del dott. Montrone e di altri magistrati e ufficiali di P.G. in Trieste (carabinieri e polizia municipale) gli era stata debitamente trasmessa. Egli non avrebbe quindi potuto affidare l’inchiesta al magistrato sottoposto ad inchiesta (come previsto dall’art. 11 del codice di procedura penale).

Simile atteggiamento ed operato della Procura precludeva così ogni possibilità di identificazione dei responsabili, aggravando lo stato di pericolo testimoniato dalla stessa minaccia grave e di stampo mafioso.

E alla fine il G.I.P. Luigi Dainotti ha archiviato il procedimento, dopo che Giurastante aveva presentato opposizione, dichiarando di “condividere integralmente” le considerazioni espresse dal P.M. nella sua richiesta di archiviazione. 

Davvero un pessimo messaggio da parte dello Stato. Che non può che portare ad alimentare legittimi (a questo punto) sospetti. Un anno fa Giurastante aveva ricevuto da fonti slovene una comunicazione relativa al coinvolgimento di soggetti istituzionali italiani nelle azioni avviate contro di lui. Ecco il testo del messaggio con la traduzione:

«Danes me je obvestil prijatelj iz vrst policije: “Govoril sem z enim mojim bivšim kolegom iz Trsta, ki je še aktiven. Povedal mi je, da so vse italijanske službe dobile usmeritev, da zjebejo Roberta Giurastantea iz AAG. Postal je preveč moteč fakotor za italijanske uradne organe.”

Traduzione:

«Oggi un amico che appartiene alla polizia mi ha detto:

“Ho parlato con un mio ex collega di Trieste che è ancora in servizio. Mi ha detto che tutti i servizi italiani hanno avuto indicazione di fottere Roberto Giurastante degli AAG (Alpe Adria Green). Reca troppo disturbo agli organi ufficiali italiani”».

Dopo la chiusura delle indagini sulla minaccia mafiosa Giurastante subiva una nuova aggressione. Ignoti cercavano di sfondare la porta della sua abitazione distruggendo il campanello all’ingresso. Ma chi sono i persecutori? Stato o mafie?