Trieste, 14 aprile 2011.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha accolto il ricorso presentato da Roberto Giurastante sull’incredibile archiviazione del procedimento relativo alle minacce di morte di stampo mafioso nei suoi confronti.
Giurastante, responsabile di Greenaction Transnational e portavoce dell’ONG internazionale AAG (Alpe Adria Green), nell’aprile del 2010 aveva trovato davanti alla porta della sua abitazione la testa mozzata e sanguinolenta di una capra. Giurastante aveva, per le sue attività di inchiesta (sul traffico dei rifiuti, sugli appalti, sull’elusione del diritto comunitario da parte delle amministrazioni pubbliche, sugli affari illeciti dei rigassificatori nel Golfo di Trieste) già ricevuto intimidazioni e minacce di morte, ma si trattava della prima volta che un simile messaggio chiaramente mafioso compariva a Trieste e nella regione Friuli Venezia Giulia.
Nonostante la delicatezza della situazione le indagini duravano solo 24 giorni effettivi e portavano, come unico atto concreto, alla distruzione da parte della locale Procura della Repubblica del corpo del reato senza permetterne l’analisi scientifica.
Le indagini erano state affidate ad un P.M. (pubblico ministero) perlomeno incompatibile in quanto precedentemente denunciato agli organi inquirenti, ispettivi e disciplinari dell’autorità giudiziaria per gravi violazioni commesse a danno dello stesso Giurastante in altro procedimento.
L’archiviazione veniva poi confermata dal GIP del tribunale di Trieste in tempi rapidissimi. L’intera inchiesta era durata appena sei mesi senza che fosse stata svolta alcuna reale indagine. Nessuna misura di sicurezza veniva inoltre garantita a Giurastante nonostante le gravi minacce di cui era stato oggetto.
L’ambientalista triestino era infatti ritenuto elemento “sgradito” alle autorità italiane per il suo ruolo particolarmente rilevante nell’opposizione ai terminali di rigassificazione nel Golfo di Trieste fortemente sostenuti – in violazione di legge – dal governo nazionale. Tanto che nei suoi confronti era stata ipotizzata un’azione repressiva da parte dei servizi di sicurezza.
Nel ricorso presentato a Strasburgo viene contestata la conduzione complessiva del procedimento penale – anche raffrontandola ad altre anomale situazioni riscontrate – da parte dell’autorità giudiziaria nazionale che ha portato ad una severa violazione delle norme sull’equo processo, sul divieto di discriminazione, e sul diritto alla sicurezza, a danno di un ambientalista “che non piace” alla Mafia e alle istituzioni italiane.