ETICA NATURALISTICA 

IL CASO DEL BUTTERFLY WEDDING  ED ALCUNE QUESTIONI FONDAMENTALI

1. FATTO

Un’impresa commerciale pubblicizza ed attua la spedizione a pagamento in Italia ed all’estero di farfalle nostrali ed esotiche vive, immobilizzate in buste e da liberare nell’ambiente per festeggiamenti; afferma che questa pratica ha valore ambientale, educativo ed estetico (trattandosi di animali “belli”) e che gli Insetti in quanto tali non soffrono.

2. MOTIVI DI OPPOSIZIONE 

Un impegno ambientale vero ed efficace richiede sia la cognizione ed il rispetto degli equilibri naturali, sia una visione etica coerente, chiara e consapevolmente condivisa.

Sotto ambedue questi aspetti la vicenda del traffico di farfalle non è affatto irrilevante in sé, ed è anzi esemplare.

Conferma inoltre che a fronte di una crescita quantitativa dell’ambientalismo come sensibilità diffusa vi sono ancora carenze molto gravi di formazione naturalistica e di riflessione etica, che tendono a ridurre questo movimento ad uno spazio parapolitico generico, facilmente colonizzabile dai criteri ed interessi cui dovrebbe opporsi.

2.1. Obiezioni naturalistiche. 

2.1.1. Alterazione di equilibri ambientali. 

Si tratta di una delle attività di trasferimento casuale di organismi animali o vegetali vivi e fertili a distanze superiori a quelle di diffusione spontanea.

Le attività di questo genere espongono notoriamente l’ecosistema a rischi che vanno dallo squilibrio al disastro ambientale ed aumentano con la lontananza fisica ed ecologica tra i siti d’origine e quelli di rilascio. 

I rischi includono, con conseguenze a catena imprevedibili, dirette ed indirette, sulla fauna e sulla vegetazione spontanee e di allevamento o coltura:

– l’attecchimento di specie estranee, facilitato dagli abnormi mutamenti climatici in corso;

– l’alterazione per ibridazione delle delicate e complesse dinamiche di adattamento evolutivo delle specie autoctone in forme, razze e sottospecie locali e geografiche (quello delle farfalle è tra i più noti ed evidenti).

– la diffusione di malattie batteriche o virali e di parassiti (come per l’Apis mellifica, in particolare con l’acaro Varroa jacobsoni, parassita innocuo dell’Apis cerana dell’Estremo Oriente ma mortale per la mellifica importata, cui si è adattato decimando in pochi decenni l’apicoltura mondiale, imponendole l’uso di acaricidi, eliminando gli sciami liberi e riducendo drammaticamente l’impollinazione anche in agricoltura).

Si aggiunga che secondo recenti indagini britanniche ed olandesi in 45 Paesi sarebbero a rischio di estinzione 71 delle 576 specie di farfalle europee.

Il rilascio di farfalle può essere dunque ammesso soltanto come intervento scientifico dove e quando vi siano necessità di ripopolamento accertate, per le specie, sottospecie e varietà locali, e con i controlli adeguati sotto tutti i profili di rischio. Non come pratica voluttuaria e commerciale.

2.1.2. Sofferenza degli animali. 

L’affermazione che le farfalle, in quanto Insetti, non provino sofferenza, è illogica prima che antiscientifica.

Ogni essere vivente interagisce con l’ambiente attraverso un sistema di percezioni che include segnali di errore o di danno come sofferenza del sistema. La sua sofferenza individuale non si traduce necessariamente in segnali rivolti all’esterno, e questi possono essere comunque diversi da quelli di altre forme viventi di diversa struttura e quindi difficilmente interpretabili come tali dall’uomo.

2.1.3. Diseducazione alla cultura naturalistica. 

È normale che esseri viventi diversi producano nell’osservatore umano sensazioni estetiche differenti, di origine individuale culturale, che vanno dall’attrazione al ribrezzo, determinando apprezzamento di quelli graditi e rifiuto degli sgraditi, sino alla persecuzione anche senza reali necessità difensive personali, ambientali, economiche, sanitarie.

Ne sono buon esempio le farfalle stesse, con le opposte reazioni suscitate dalle specie diurne e da quelle notturne.

Ma la cultura naturalistica insegna a superare questi pregiudizi di livello inferiore, spontanei od indotti, per apprezzare la pari armonia essenziale, ed in tal senso l’estetica superiore, di tutti i viventi in sé e nei loro ruoli ambientali, ed affermare il principio del loro pari diritto all’esistenza in quanto esseri, e non cose.

La diffusione commerciale pseudoestetica delle ‘belle’ farfalle diurne come oggetti per festeggiamenti è quindi una forma di diseducazione radicale alla cultura naturalistica.

3. Obiezioni etiche. 

Dal punto di vista etico il caso può sembrare trascurabile rispetto ai grandi tormenti e massacri di animali selvatici e d’allevamento, per non dire di quelli inflitti agli umani. Ma in realtà solleva lo stesso problema: se si debba tener conto o no della sofferenza dei viventi, grandi e piccoli.

Che è questione di portata immensa, perché si tratta del principio universale di compassione, cioè di identificazione con i patimenti degli altri.

La compassione attiene alla capacità dell’essere umano di non identificare come simili soltanto gli stretti congeneri, ma di comprendere razionalmente che lui ed il suo mondo (di spazio, tempo, pensiero) sono parti infinitesime di un ignoto immenso ed inconoscibile, e che questo implica un legame essenziale non visibile (anima), e dunque un’identità condivisa, di tutte le cose nell’ignoto supremo, un principio ordinatore, o di armonia, universale non comprensibile, ed una responsabilità, anch’essa di grado universale, per le azioni corrette o scorrette nei loro confronti.

È questa visione superiore del mondo, espressa nel senso del sacro -ovvero di meraviglia -variamente manifestato e vissuto, che induce l’identificazione spirituale affettiva (caritas, amore, espressa attraverso l’empatia e la solidarietà) con gli altri viventi, anche non umani, rendendoci sensibili alle loro sofferenze e perciò alla difesa degli equilibri armonici della vita.

La ritroviamo infatti costante nelle culture tradizionali, dai riti di ringraziamento ed escusazione per la caccia ed il raccolto delle popolazioni paleolitiche di cacciatori-raccoglitori e neolitiche di pastori ed agricoltori, al principio di compassione espresso e diffuso come tale dalle grandi religioni millenarie dell’assoluto attraverso divieti di recare sofferenza agli esseri animati e di togliere loro la vita senza necessità.

È l’antichissimo precetto universale dell’ahimsa, il non nuocere, raffinato dai Jaina, il voto buddhista alla salvezza di tutte le creature, ed il concetto che si dirama dall’ebraismo, tradizione profetica di un culto circoscritto di ringraziamento universale, nelle religiosità militanti del cristianesimo e dell’islam con l’affermare l’origine divina (creazione) di ogni cosa, inclusi gli esseri viventi, e la signoria assegnata all’uomo su di essi non come potere profano, discrezionale ed assoluto, ma come governo responsabile, cioè etico, che ha per fonte e termine di paragone quello divino fondato sulla potestà associata al principio di compassione (Genesi 1 e 9).

Così il Corano, proclamando la misericordia e la compassione quali attributi fondamentali di Dio – e quindi virtù principali per l’uomo – conferma (LV) che

“Egli ha destinato la terra a tutte le creature viventi”, non soltanto all’umanità. 

E nel diluvio purificatore di tradizione biblica (Gen. 7-9) Dio preserva non solo la stirpe umana, ma anche quelle di tutti gli animali, sia mondi che immondi (cioè in quanto viventi creati a costituire il flusso armonico della vita, a prescindere dalla loro piacevolezza od utilità immediata per gli umani) concludendo il patto di alleanza non solo con l’uomo, ma con ogni essere vivente sulla terra.

Il principio di compassione si trova espresso tra i sette precetti fondamentali (Gen.9) ai figli di Noè – che simbolizzano tutti i popoli del mondo come proiezione universale dell’ebraismo – col divieto di nutrirsi di parti di animali vivi, e perfezionato nel precetto negativo ebraico sul tzà’ar ba’a’lè chaìim (sofferenza degli animali) tanto vincolante da poter prevalere persino su alcuni precetti del sabato, in quelli rigorosi sulla macellazione rituale col minimo di sofferenza, prescritti analogamente dall’islam, e nei divieti di ferimento, castrazione e vivisezione di animali.

Mentre il senso dell’identità universale attraverso i viventi permea i livelli più elevati della mistica d’oriente e d’occidente, dai maestri buddhisti e del tao ai sufi, a Francesco D’Assisi.

Ci troviamo dunque di fronte ad una stessa percezione e dottrina sapienziale originaria, che essendo connaturale alle capacità intellettive dell’essere umano vi permane malgrado le sue frequenti involuzioni storiche, culturali e personali.

Involuzioni che esprimono in sostanza tendenze regressive, su traccia filogenetica, all’identificazione strettamente opportunistica dell’individuo con i propri soli congeneri, e tra questi con il proprio gruppo tribale o familiare immediato, e sono caratterizzate da comportamenti e dottrine di chiusura irragionevole della visione del mondo entro la sfera della sola percettibilità materiale (materialismo) per rifiuto dell’ignoto, e quindi del sacro. Con negazione o relativizzazione conseguente dell’etica, e dunque della compassione, e riduzione dei viventi, umani inclusi, e della natura in generale ad oggetti, come tali straziabili per profitto, divertimento, fanatismo o indifferenza.

Il conflitto tra visioni aperte e chiuse del mondo, con i suoi riflessi nelle categorie etiche del bene e del male, è una costante fondamentale della vita e della storia umane, che oggi si trova però in una fase critica straordinariamente acuta e paradossale.

Acuta perché è un culmine senza precedenti, per aggressività suggestiva, effetti ed estensione planetari, di un materialismo consumista e speculativo che devasta l’ambiente naturale ed umano sino allo sconvolgimento climatico, psicologico e sociale, con un accumulo di potenziale distruttivo sempre meno controllabile.

Paradossale, perché questa pandemìa di eccessi materialistici coincide con la conferma scientifica crescente, ma disattesa, delle percezioni tradizionali del sacro: la fisica scopre l’immaterialità della materia in un tessuto universale infinitamente indeterminato, e la genetica che tutti i viventi sono varianti in evoluzione di un unico sistema di programmazione (rendendo anche evidente che i concetti umani di creazione ed evoluzione sono complementari, e non antitetici).

Il tutto rende prioritario il problema globale della salvezza dell’umanità e della vita sull’intero pianeta, la cui soluzione non sta dunque più nelle vecchie categorie politiche di parte, siano nazionali, sociali o ideologiche.

Sta soltanto nella forza e capacità di azione di quel movimento crescente di reazione spontanea, anch’essa planetaria, delle persone che nel disorientamento generale riescono a percepire l’essenza e la comunanza reali del problema, ed a reagire impegnandosi in vario modo sia nella difesa della natura che nella riscoperta spirituale di fondamenti etici, senza cadere nell’umoralità incompetente, nella speculazione politica ed economica e nei settarismi.

Il principio di compassione ci conduce quindi alle radici vere del movimento ambientalista: le dimensioni complementari della formazione naturalistica ed etica in una visione del mondo rinnovata, perché assieme nuova ed antichissima.

A quanti, infine, possono pensare che nella cosiddetta ‘modernità’ la compassione verso tutti i viventi sia espressione di sciocca debolezza o fanatismo invece che di forza e coerenza, vale citare almeno due esempi illustri: Albert Schweitzer, che nel suo ospedale africano va ad aprire la finestra per liberare una mosca prigioniera, ed Enzo Maiorca che spiega di aver abbandonato la caccia subacquea, ed ogni altra, dopo essersi sentito pulsare nel palmo della mano il cuore di una cernia rintanata.

4. Conclusioni. 

A nostro giudizio l’azione degli ambientalisti, che nel mondo d’oggi ha ormai necessità e rilevanza cruciali, dev’essere regolata da quest’ordine di principi e concetti fondamentali, senza derogarne nelle piccole cose né nelle grandi.

Tanto meno se ne può derogare a beneficio di giri d’affari, sulle farfalle od altro.