SENZA DIFESA: GREENACTION TRANSNATIONAL DENUNCIA LA MANCANZA DI EFFETTIVE MISURE DI PREVENZIONE PER LE EMERGENZE RADIOLOGICHE IN ITALIA

L’Unione Europea ritiene prioritaria la tutela della popolazione dagli effetti delle radiazioni ionizzanti, e tale dottrina è ben codificata nella legislazione comunitaria. La Comunità Europea ha fissato norme fondamentali sulla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti conformemente all’articolo 218 del Trattato (istitutivo della Comunità)  fin dal 1959. Le direttive sono state rivedute nel 1962 con la direttiva del 5 marzo 1962, nel 1966 con la direttiva 66/45/Euratom, nel 1976 con la direttiva 76/579/Euratom, nel 1979 con la direttiva 79/343/Euratom, nel 1980 con la direttiva 80/836/Euratom, nel 1984 con la direttiva 84/467/Euratom, nel 1989 con la direttiva 89/618/Euratom, nel 1996 con la direttiva 96/29/Euratom e nel 2003 con la direttiva 2003/122/Euratom.

Le direttive di riferimento che stabiliscono le norme di sicurezza per la popolazione sono la 96/29/Euratom e la 89/618/Euratom. La direttiva 89/618/Euratom stabilisce che:

Articolo 5 (Informazione preliminare) 

“Gli Stati membri vigilano affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva” [Comma 1] “Le informazioni sono comunicate alla popolazione… senza che essa ne debba fare richiesta” [Comma 2] “Gli Stati membri aggiornano le informazioni, le comunicano regolarmente e anche quando si verificano cambiamenti significativi nelle misure descritte. Dette informazioni sono in permanenza accessibili al pubblico” [Comma 4].

Articolo 6 (Informazione in caso di emergenza radioattiva)

“Gli Stati membri vigilano affinché, nell’eventualità di una emergenza radioattiva, la popolazione effettivamente interessata sia immediatamente informata sui fatti relativi all’emergenza, sul comportamento da adottare e sui provvedimenti di protezione sanitaria ad essa applicabili nella fattispecie” [Comma 1]

Se questa è la legge dell’Unione Europea l’unica domanda è: perché in Italia non viene applicata? L’Italia settentrionale è circondata dalle centrali nucleari dei Paesi confinanti. Tredici di queste si trovano a una distanza compresa entro i 200 km dai confini nazionali. Ma i cittadini in Italia non ricevono nessuna informazione utile allo loro difesa. Le autorità pubbliche, se interpellate, rispondono di non essere a conoscenza dei piani di emergenza, di non sapere nemmeno come allertare la popolazione in caso di emergenza nucleare, né di avere alcuna informazione sulle strutture sanitarie che dovrebbero gestire l’emergenza  e sui rifugi dove la popolazione potrebbe trovare riparo in caso di fall-out.

Nessuno sa inoltre come dovrebbero essere distribuite alla popolazione le pastiglie di iodio stabile da assumere in caso di esposizione alle radiazioni per ridurre gli effetti dello iodio radioattivo sull’organismo. La iodoprofilassi è una delle misure sanitarie previste nel piano nazionale per le emergenze radiologiche. Ma per far sì che sia efficace è necessaria una campagna di addestramento preventiva della popolazione nelle zone esposte. Stiamo parlando di almeno sei regioni italiane coinvolte (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto). Oltre 26 milioni di abitanti che dovrebbero sapere cosa fare, dove andare, a chi rivolgersi. E che invece sono completamente abbandonate. Il motivo? Nel piano nazionale delle emergenze radiologiche (che viene nascosto alla popolazione per non creare inutili “allarmismi”!!) la prevenzione è ritenuta marginale rispetto agli interventi da attuarsi nella fase di emergenza.

La prevenzione consiste nell’addestrare i cittadini ad affrontare un’emergenza radiologica. E non a doverla solamente subire. Ma per fare questo è necessario che l’intero apparato pubblico funzioni sul serio. Mezzi e personale preparato (rilevatori di radioattività, tute NBC, veicoli NBC ecc.), strutture sanitarie predisposte (sale decontaminazione ecc.), rifugi antiatomici nelle località più vicine alle centrali, centri operativi e di informazione per la popolazione. Insomma, un apparato estremamente costoso ma necessario se vuole avere la possibilità di attenuare le conseguenze di un disastro nucleare. Un apparato che in Italia semplicemente non è stato predisposto, e che quindi rende impossibile fare la prevenzione. Con conseguenze che in caso di emergenza reale sarebbero catastrofiche. Pensiamo alla iodoprofilassi. Le pastiglie di iodio stabile dovrebbero essere assunte al massimo entro 6-8 ore dall’esposizione alle radiazioni. Quindi ogni cittadino dovrebbe sapere a quale dose di radiazioni è stato esposto per potere prendere il quantitativo corretto di iodio (in pastiglie). Ma per potere sapere questo è necessario avere un dosimetro con il quale si rileva la quantità di dose assorbita nell’arco di tempo (quindi il dosimetro dovrebbe essere sempre acceso). E poi assumere lo iodio (in genere in pastiglie) che dovrebbe essere già in casa, altrimenti bisognerebbe andare ai centri di distribuzione pubblici per ritirare le dosi necessarie. Ma per andare ai centri di distribuzione le persone si esporrebbero alle radiazioni (fall out) molto di più che rimanendo in luogo chiuso, e quindi dovrebbero avere delle tute speciali (NBC). Ma sarebbe anche necessario sapere dove si trovano questi centri di distribuzione. I luoghi dovrebbero già essere a conoscenza della popolazione che altrimenti dovrebbe appena aspettare le comunicazioni delle autorità. Già, ma come verrebbero diramate queste comunicazioni? Senza l’informazione preventiva la popolazione non riuscirebbe nemmeno a riconoscere l’allarme radiologico. E se l’emergenza si verificasse di notte? Quali sarebbero i tempi di reazione? Ma anche se fosse possibile avere solo in fase di emergenza le indicazioni utili sulla distribuzione dello iodio, è da immaginare il caos che si determinerebbe con migliaia di persone (pensiamo ad una città media come Trieste) che andrebbero all’assalto dei pochi centri di distribuzione. Le pastiglie di iodio stabile devono infatti essere assunte al massimo entro 6-8 ore per avere efficacia.

Uno scenario purtroppo realistico questo e che sarebbe appunto la conseguenza della mancata prevenzione.