TRA INQUINAMENTO E RISCHI PER LA SICUREZZA, IL PESANTE FARDELLO DEL PRINCIPALE TERMINAL PETROLI DEL MEDITERRANEO

Il terminale petrolifero della S.I.O.T. nel porto di Trieste, in funzione da 44 anni, è il più grande del Mediterraneo. Le parti a mare del terminal sono ubicate nella Baia di Muggia (parte meridionale del porto di Trieste) e consistono di due pontili a pettine a doppio attracco collegati alla costa da un pontile di collegamento di 580 metri di lunghezza. I due pontili per l’attracco delle petroliere sono lunghi rispettivamente 475 e 490 metri e possono accogliere petroliere con dislocamento massimo di 280.000 tonnellate. Dai pontili di scarico delle petroliere il greggio viene pompato ai depositi costieri situati nella vallata di Zaule nel Comune di S. Dorligo della Valle-Dolina tramite quattro condotte parzialmente interrate di lunghezza complessiva di circa 9 km. I 32 depositi di stoccaggio hanno una capacità di 2 milioni e trentamila metri cubi di petrolio. I depositi hanno un diametro variabile da 40  a 83 metri con altezze comprese tra i 17 e i 20 metri. Annualmente la movimentazione è di circa 40 milioni di metri cubi di petrolio che vengono portati con un oleodotto di 450 km ad Ingolstadt. Si tratta quindi di un impianto strategico per l’Unione Europea e per la NATO.

L’estrema vulnerabilità del terminale è stata già dimostrata dal grave e spettacolore attentato del 4 agosto del 1972 ad opera di “settembre nero”, movimento terrorista palestinese. La tecnica utilizzata dagli attentatori era stata di sistemare le cariche esplosive sull’unica tubazione di carico e scarico tra il mantello di tre serbatoi e la valvola di intercettazione. Il greggio fuoriuscito prese immediatamente fuoco riversandosi nei bacini di contenimento e nei terreni circostanti. Un quarto serbatoio da 80.000 metri cubi posto vicino ai tre fatti saltare in aria prese anch’esso fuoco per effetto domino dovuto all’irraggiamento. Le conseguenze di quell’attentato furono gravissime ma vennero tenute nascoste per non mettere in discussione l’esistenza stessa dell’impianto. Il petrolio bruciò per giorni avvolgendo con la sua tossica nube nera innalzatasi per chilometri l’intera provincia di Trieste e il litorale dell’attuale Slovenia. Ma non fu solo quello il danno.

Migliaia di metri cubi di greggio fuoriusciti dai depositi contaminarono diffusamente i terreni (anche agricoli) e la falda della valle di Zaule. Nessuna bonifica fu mai avviata. Nessun provvedimento per la difesa della salute pubblica venne adottato.

E anzi, quel poco che venne fatto servì solamente ad estendere le conseguenze del disastro ambientale; le autorità procedettero a smaltire la terra più contaminata e gli stessi residui di idrocarburi delle cisterne semplicemente buttando il tutto in alcune grotte dell’altopiano carsico: nemmeno gli attentatori sarebbero riusciti a pensare ad una soluzione migliore per portare maggior danno.

Sono passati quasi quarant’anni da quei giorni. Nel frattempo il terminal petroli di Trieste ha pompato oltre 1,2 miliardi di tonnellate di greggio verso Austria e Germania. Sedicimila le petroliere transitate nel porto di Trieste. Ma questa intensa attività ha aggravato la pesante eredità dell’attentato del lontano 1972. Inquinamento su inquinamento, perché le stesse condotte che trasportano il petrolio hanno avuto perdite nel corso degli anni. E non sempre questi incidenti sono stati resi pubblici.

Ma nel 2007 il Ministero dell’Ambiente ha deciso di inserire la SIOT con il suo parco serbatoi nel S.I.N. (Sito Inquinato Nazionale) di Trieste a causa del pesante inquinamento esistente e a seguito di due gravi incidenti con fuoriuscita di greggio avvenuti tra l’agosto del 2006 e il gennaio del 2007.

Nel solo incidente dell’agosto 2006 dalle tubazioni interrate erano fuoriusciti 75 metri cubi di petrolio con contaminazione delle acque di falda. E la reazione dell’azienda non era certo stata delle più adeguate. Oltre a minacciare azioni legali nei confronti di chi aveva reso pubbliche queste notizie, la SIOT aveva provveduto – dall’alto dei suoi enormi mezzi economici – a comprare intere pagine a pagamento sui giornali locali per comunicare di essere un’azienda rispettosa dell’ambiente con standard di controllo qualitativi ai massimi livelli… In appoggio dell’industria inquinante si erano espresse tutte le amministrazioni pubbliche locali, e tra queste la Regione Friuli Venezia Giulia aveva sconfessato l’operato del Ministero dell’Ambiente, troppo severo con la SIOT…

Di fatto la situazione di inquinamento dell’intera area dove è ubicato il parco serbatoi è pesantissima, ma l’attentato del 1972 è in definitiva diventato un utile paravento per nascondere un degrado ambientale stratificatasi negli anni senza alcun controllo da parte degli enti preposti a garantire ambiente e salute pubblica.

Dalle analisi del Ministero dell’Ambiente sono emersi dati che definire preoccupanti è dir poco.

Benzene [classificato UE: cancerogeno cat. 1; classificato EPA: gruppo A; persistenza +] con valori 100 volte superiori ai limiti di legge… idrocarburi pesanti fino a tre volte oltre i limiti… Etilbenzene, Tricloretlilene, Manganese in abbondanza… E lo stesso Ministero dell’Ambiente è arrivato a contestare alla SIOT di non avere comunicato la situazione effettiva dell’inquinamento dei propri terreni avendo fornito dati non corrispondenti alla realtà.

Ma in mezzo a questa guerra di analisi, di numeri, di interpretazione delle leggi  ci sono   degli esseri umani. Quelli che vivono nei paesi vicini al terminale. Ad esempio gli abitanti di Mattonaia che si trovano i depositi a 100 metri dalle proprie case e che devono sopportare le conseguenze di questo inquinamento protetto per interessi superiori.

Loro utilizzano l’acqua di falda, quella contaminata dal benzene… nessuno gli ha detto che è pericolosa… non bisogna creare allarmismi… non bisogna dare fastidio all’industria che tutto controlla...

Queste persone hanno provato a protestare contro le ammorbanti esalazioni degli idrocarburi che avvolgono l’intera vallata, ma gli hanno detto di non preoccuparsi… quella “puzza” non fa male… è solo fastidiosa… devono avere fiducia e rassegnazione. Requisiti indispensabili per chi vuole vivere in queste terre assoggettate ai peggiori interessi Stato. Fiducia negli amministratori pubblici, quelli che per anni nulla hanno fatto per difenderli preferendo gli accordi con la potente industria inquinante, e la sana rassegnazione di coloro che sanno di non potere cambiare il loro triste destino.

E così la gente continua a morire. Morire di un inquinamento negato. Il greggio sprigiona il letale benzene che è presente anche nei vapori. Il benzene è uno dei principali inneschi per le leucemie e per il cancro. Ma i “sudditi” di Mattonaia e dei paesi vicini non possono essere informati di questo: devono morire e basta. Possibilmente in silenzio. Perché se ti ribelli vieni pure trascinato in tribunale e ti fanno pagare per avere osato sfidare i potenti padroni…

E poi ci sarebbe anche l’aspetto non irrilevante della sicurezza. Il terminale petroli con i suoi depositi ricade nell’ambito di applicazione della Direttiva Seveso. Ma la pianificazione delle emergenze è stata attuata solo dal 1991, pur essendo l’impianto in funzione dal  lontano 1967, e pur essendo stato oggetto dell’attentato del 1972. Il piano delle emergenze esterne è stato rinnovato solo nel 2008, ed in ogni caso non prende in considerazione in alcun modo il rischio attentati… Strano, no? Possibile che dopo aver subito un devastante atto terroristico la SIOT non prenda in considerazione una tale probabilità tutt’altro che fantasiosa? Possibile che lo Stato (il piano deve essere validato dalla Prefettura) non si accorga di tale “lieve mancanza”? Che razza di prevenzione delle emergenze è quella che esclude a priori i rischi a cui dovrebbe dare risposta? La risposta è una sola… siccome non c’è alcuna possibilità di difesa, inutile allarmare gli ignari cittadini. Ecco così che nel piano di emergenza esterno adottato il 30 giugno 2008 (una revisione fatta “appena” dopo 17 anni contro i tre imposti per legge!!!) per completare l’opera non viene nemmeno considerato lo scenario incidentale peggiore possibile, ovvero quello dell’effetto domino con il coinvolgimento di tutti i 32 depositi.

Come dimostrato proprio dall’attentato del 1972, le cisterne possono essere investite per irraggiamento dagli incendi verificatisi in quelle adiacenti propagando così a catena il disastro. Cosa accadrebbe se tutti 32 i depositi si incendiassero a causa di un incidente o di un attentato con effetto domino? Quanti sarebbero i morti tra la popolazione tenuta all’oscuro dell’incombente minaccia?

Ma intanto, in attesa che qualcuno si decida a rispondere, le autorità italiane hanno ben pensato di incrementare ulteriormente il rischio autorizzando vicino al terminal petroli anche un terminal gas. Nessuno studio sulle conseguenze di incidenti a catena e tutti tranquilli. Tanto da queste parti la gente è fin troppo rassegnata al proprio destino…