Il 14 febbraio del 2009 venivo condannato dal Tribunale di Trieste in appello per diffamazione nei confronti dei componenti la commissione edilizia del Comune di Muggia. Ero stato accusato di avere offeso la loro reputazione per avere denunciato pubblicamente e alla stessa autorità giudiziaria l’illegittimità urbanistica di un centro commerciale autorizzato dal Comune dopo il nulla osta rilasciato appunto dalla commissione edilizia. La sentenza di condanna veniva confermata dalla Cassazione il 14 maggio del 2010. Nel frattempo il centro commerciale era già stato realizzato. Di questo procedimento penale ho scritto in articoli precedenti commentando il comportamento dell’autorità giudiziaria (rimando per un’analisi ponderata agli articoli “Nel nome del cemento” e “La mafia ordinata del Nord Est: un sistema di governo perfetto?”).

Il caso è eclatante: ero stato ritenuto colpevole pur essendo riuscito, anche nel corso del processo, a dimostrare l’irregolarità urbanistica del centro commerciale; e per ottenere la mia condanna erano stati manipolati atti giudiziari e avallate contro di me le false testimonianze rese dai denuncianti. 

La stessa Cassazione per confermare la condanna commetteva una serie fin troppo incredibile di errori (ad esempio, la sentenza di condanna veniva scritta un mese prima dell’udienza…) che mi portavano ad essere giudicato sei volte per lo stesso ricorso con privazione totale dei miei diritti di difesa. Il caso, che è ora alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo a cui ho presentato ricorso, ben rappresenta il funzionamento di quello che potremmo definire il “Sistema Italia” delle illegalità diffuse. Un sistema di illegalità che, secondo molti esperti in materia, è anche l’espressione di quella “fratellanza giuridica” fatta di mafie e massonerie deviate che controllerebbe ampi settori della giustizia.

In cosa consisteva l’irregolarità urbanistica che io avevo denunciato? Si trattava molto semplicemente dell’impossibilità per i proprietari di terreni inseriti in un ambito (cioè una  zona individuata dal piano regolatore comunale) del Comune di Muggia di presentare progetti di edificazione se non avessero avuto – in base all’imponibile catastale – almeno i due terzi del valore delle aree e degli edifici compresi nell’ambito. Il terreno su cui si voleva realizzare il centro commerciale era appunto inserito in un ambito diviso tra più proprietari, ma la società proponente possedeva appena 1/8 della superficie dell’ambito stesso. Quindi si sarebbe dovuto raggiungere un accordo con gli altri proprietari di terreni dell’ambito facendo sottoscrivere loro il progetto di iniziativa privata anche perché la zona, che fino a quel momento era inedificata, avrebbe assunto ai fini catastali e fiscali un altro valore quando vi si fosse costruito. Ma nulla di questo venne fatto. La società privata presentò il progetto che non aveva i requisiti per potere essere autorizzato, il Comune diede il via libera al centro commerciale, ed io, per avere pubblicamente segnalato l’illegittimità di quanto si stava facendo ed avere richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria, venni rinviato a giudizio e condannato a pagare 31.366 Euro ai componenti della commissione edilizia comunale, cioè a coloro che avevano autorizzato l’illecito.

Caso chiuso e tutti contenti quindi visto che questi progetti portano grossi investimenti, e le regole nel nome dei soldi si possono pure “dimenticare”. E poi la regione Friuli Venezia Giulia, si sà, è terra di conquista per le mafie del cemento che qui trovano ottime condizioni per riciclare il proprio denaro insanguinato.

Basti pensare che il maggior centro commerciale della regione è stato costruito senza nemmeno sottoporlo alla (obbligatoria) procedura di V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale)… L’importante sono le cascate di denaro che si riversano nel territorio dividendosi in mille rivoli che rendono “fertile” questa terra. Una “fertilità” che significa ricchezza, ma anche perdita della legalità (o perlomeno di quel che ne rimane) e assoggettamento alle mafie.

Ma non proprio tutti possono ritenersi soddisfatti di una simile conclusione. Se la mia condanna ha permesso di “legalizzare” un lucroso abusivismo edilizio, è anche vero che ha aperto un altro fronte creando un precedente pericolosissimo. A seguito della realizzazione del centro commerciale l’intero ambito ha infatti subito una rivalutazione economica ai fini dell’ICI. Ed ora Equitalia ha presentato il conto anche agli altri proprietari dell’ambito i cui terreni inedificati vengono equiparati (essendo appunto l’ambito unico) a quelli edificati del centro commerciale.

I piccoli proprietari però si difendono dichiarando che i loro possedimenti sono per legge di fatto inedificabili, e altrettanto doveva valere per i “potenti” vicini del centro commerciale. Per potere presentare qualsiasi progetto bisognerebbe avere i “famosi” due terzi del valore dell’ambito (che nessuno ha)…

Questo prevede la legge non rispettata da chi ha autorizzato quel centro commerciale… E questo era quello che io, il povero ambientalista che pensava di poter fare prevalere le ragioni della legalità, avevo segnalato inascoltato fin dall’inizio…

Ed ora come se ne esce? Se la Commissione Tributaria, a cui gli altri proprietari dei terreni dell’ambito si sono rivolti, dovesse dare ragione ai ricorrenti verrebbe “riabilitato” l’ambientalista ingiustamente condannato per essersi opposto all’illecito urbanistico. Ma questo porterebbe anche alla chiarissima evidenza delle gravi omissioni da parte del Comune e della stessa autorità giudiziaria, che in definitiva questo abusivismo ha coperto. Come andrà a finire? Verrà  ripristinata la legalità o consolidata l’illegalità? Certo è che la lunga attesa (i ricorsi tributari sono pendenti da più di un anno e mezzo) lascerebbe presagire tentativi di accomodamento all’italica maniera. Il Comune di Muggia, pur essendo cambiata amministrazione, si è inoltre ben guardato dal prendere posizione sull’argomento. Da proteggere prima di tutto è l’investimento, ovvero il centro commerciale (anche se fuorilegge). Poi il diritto dei piccoli proprietari a non dover pagare tasse abnormi a copertura di un reato commesso da altri. Solo l’ambientalista è sacrificabile: infatti è l’unico che non si è mosso per suoi interessi personali, ma per difendere il diritto della legalità. Ma è possibile la legalità in uno Stato corrotto?

Roberto Giurastante

(tratto dal Blog “Ambiente e legalità”)