Trieste: nuova sentenza di condanna civile per gli ambientalisti che “non piacciono” alla Mafia.
Nuova pesante condanna civile per gli ambientalisti dell’ex gruppo locale degli Amici della Terra Trieste*. La pena è stata loro inflitta dal giudice Monica Pacilio del tribunale di Trieste che ha rigettato il loro ricorso contro l’ordinanza cautelare con cui, su richiesta dell’associazione nazionale (Amici della Terra Italia), era stato vietato al gruppo locale di utilizzare il nome e il logo dell’associazione.
Si era trattato in pratica dell’espulsione del combattivo gruppo locale dall’associazione Amici della Terra – Friends of the Earth. Un gruppo troppo scomodo quello di Trieste. Scomodo perché indagava sul malaffare del potere. E quindi andava bloccato prima che potesse fare troppi danni. Ma anche punito per avere osato sfidare il sistema. Cause civili e denunce penali contro i rappresentanti del gruppo locale che si erano maggiormente distinti nelle lotte per la legalità.
Questa la ricetta per estirpare la cellula di legalità costituita dagli ambientalisti triestini.
Dopo essere stati condannati al pagamento delle spese nel giudizio cautelare (circa 5.000 Euro), con sentenza confermata da un collegio presieduto dal presidente del tribunale di Trieste Arrigo De Pauli, gli ambientalisti ribelli venivano denigrati pubblicamente sul quotidiano locale monopolista (Il Piccolo) e pure condannati – sempre dal tribunale di Trieste – al pagamento delle spese a favore del giornale per avere richiesto la legittima replica a norma di legge sulla stampa.
L’incredibile sentenza del giudice Arturo Picciotto veniva confermata in appello. Tredicimilacinquecento (13.500!!) Euro a favore del giornale inadempiente. Ed ora altri 9.000 Euro. Questo il costo dell’ultimo rigetto del tribunale di Trieste. Ventisettemilacinquecento (27.500!!) Euro di sole spese per le condanne civili. A cui si devono aggiungere quelle dei procedimenti penali. Procedimenti spesso intimidatori. Una quindicina in tutto. Concentrati contro quattro persone. Che prima o poi vengono colpite. E’ inevitabile. Così il sistema ha potuto festeggiare anche la condanna della “pecora nera” per eccellenza. Quel Roberto Giurastante (il sottoscritto) che con le sue inchieste e denunce alle istituzioni comunitarie aveva creato seri grattacapi alle massomafie. Quarantamila (40.000!!) Euro.
Il reato? Diffamazione per avere denunciato pubblicamente una speculazione edilizia così offendendo un’amministrazione pubblica (Comune di Muggia) che la aveva autorizzata. Problema: l’illecito urbanistico era provato. Ma il giudice (già candidatosi alle elezioni nello stesso partito dei querelanti…) condannava l’ambientalista e chiudeva gli occhi sull’illecito urbanistico. Uno dei tanti inutili centri commerciali che sorgono come funghi nell’estremo Nord Est italiano (e nel Territorio Libero di Trieste).
Un Nord Est appetito alle mafie del cemento (La mafia ordinata del nord-est: un sistema di-governo perfetto?).
Complessivamente la persecuzione giudiziaria (ancora in corso) è costata fino ad ora ai “reietti” ambientalisti triestini circa 100.000 Euro.
Personalmente sono stato sottoposto ad otto procedimenti penali e ho dovuto subire condanne preventive con totale privazione dei miei diritti difensivi. Nel contempo tutte le nostre denunce sul malaffare locale venivano archiviate. Spesso senza nemmeno indagini.
Ambientalisti “legalitari” KO grazie all’intervento interforze messo in atto per bloccarne le azioni. Con le buone o con le cattive.
Ma cosa aveva scoperto la nostra Associazione per scatenare una simile controffensiva del “sistema”? Una verità pericolosa, troppo pericolosa da potere essere resa pubblica.
Dietro al disastro ambientale realizzato a Trieste e provincia, si nascondeva in realtà la mano dello Stato. Uno Stato che vede queste come terre di conquista. Lande straniere occupate e di cui fare scempio. Distruggere il porto e inquinare tutto quello che era possibile.
Questa la missione (D come discariche).
Un ruolo non certo marginale nella “eliminazione” degli ambientalisti scomodi lo ha avuto, come detto, l’associazione Amici della Terra Italia. Il colpo finale lo hanno dato loro. Espellendo e trascinando in causa il gruppo locale già sotto assedio giudiziario. Un tradimento nel nome della migliore realpolitik. Inconciliabile la presenza dei “giustizialisti” (così vengono sprezzantemente indicati in Italia i cittadini che si appellano alla legalità) in un’associazione votata all’ambientalismo del compromesso. Anche con quei poteri forti che spesso in Italia si identificano nelle massomafie.
Accordi che prevedono una pacifica convivenza in aree ad alta densità criminale. Calabria, Campania, Sicilia. Qui prosperano gli Amici della Terra. Che vivono in perfetta simbiosi con le amministrazioni locali (che dalle cronache risultano avere non raramente caratteristiche prettamente mafiose), le quali ricompensano gli ambientalisti “buoni”: quelli che non “rompono”.
Ecco così che nella Campania della camorra l’ambientalismo soft degli Amici della Terra ha fruttato la nomina di un loro dirigente a direttore dell’ente turismo della provincia di Avellino. La nomina è stata decisa dal presidente della provincia di Avellino il senatore Cosimo Sibilia, uomo di fiducia di Nicola Cosentino potente coordinatore regionale del partito del premier Berlusconi, nonché sottosegretario di Stato all’Economia, indagato per collusione con i clan camorristici.
Nel novembre del 2009 contro Cosentino veniva spiccato un mandato di arresto che l’autorità giudiziaria non poteva eseguire data l’immunità parlamentare del sottosegretario. Il testo del mandato di arresto riportava le seguenti motivazioni:
“Cosentino contribuiva con continuità e stabilità, sin dagli anni ’90, a rafforzare vertici e attività del gruppo camorrista che faceva capo alle famiglie Bidognetti e Schiavone, dal quale sodalizio riceveva puntuale sostegno elettorale […] creando e co-gestendo monopolii d’impresa in attività controllate dalle famiglie mafiose, quali l’Eco4 spa, e nella quale Cosentino esercitava il reale potere direttivo e di gestione, consentendo lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, sfruttando dette attività di impresa per scopi elettorali”.
Cosimo Sibilia, figlio del noto costruttore Antonio, ex presidente dell’Avellino calcio, era a sua volta assurto agli onori della cronaca nel 1981 per avere omaggiato il boss della camorra Raffaele Cutolo facendogli consegnare da un giocatore una medaglia d’oro a nome dell’intera squadra irpina.
E che dire dell’autorità giudiziaria? Quando abbiamo denunciato per la prima volta al Ministero di Giustizia le pesanti violazioni dei nostri diritti e gli abusi commessi nei nostri confronti dai magistrati del tribunale locale abbiamo capito definitivamente come funziona il “sistema” Italia. I magistrati da noi segnalati sono stati immediatamente avvisati dall’ufficio ispettivo che li avrebbe dovuti indagare. Dell’inchiesta nessuna traccia. Dei magistrati si: ce li siamo ritrovati poco dopo assegnati alle nostre cause che abbiamo inesorabilmente perso. Poi abbiamo scoperto che il responsabile dell’ufficio ispettivo del Ministero di Giustizia a cui ci eravamo fiduciosamente rivolti era tra gli indagati, lui stesso, della loggia pseudo massonica P3…
Dalla testimonianza resa nel procedimento civile (causa 4178/07 Amici della Terra Italia Vs Amici della Terra Trieste) dal giornalista investigativo Paolo G. Parovel:
“… l’Associazione di Trieste ha dovuto ridurre la propria attività istituzionale perchè le attività difensive hanno assorbito la gran parte delle sue risorse ed energie, al contenzioso principale si sono aggiunti procedimenti penali. Il contenzioso è emerso dalla sede giudiziaria civile attraverso note stampa diffuse ai media dalla Presidente dell’Associazione Nazionale Rosa Filippini ed attraverso un esposto-denuncia della medesima alla Procura della Repubblica di Trieste. Questo ha determinato discriminazione da parte dei media locali ed in particolare del quotidiano Il Piccolo che ha iniziato a non pubblicare le notizie sull’attività dell’associazione giustificandosi ufficiosamente con la motivazione professionalmente inconferente della contestazione circa la legittimità del nome. Su ciò vi è stata anche una causa per omessa rettifica da parte del quotidiano. Contemporaneamente la Procura della Repubblica di Trieste e personalmente il Procuratore dott. Maria Nicola Pace ha avviato ed ha incoraggiato una serie di iniziative per contestare all’Associazione di Trieste l’uso del nome anche sotto il profilo penale, assumendo ciò pure a motivo di archiviazione di denunce ed esposti nei confronti di influenti ambienti cittadini per rilevanti reati ambientali presentate dall’Associazione di Trieste. Preciso che si trattava di reati perseguibili d’ufficio… In sostanza sul contenzioso iniziato dall’Associazione nazionale in concomitanza e quale origine delle altre ostilità ambientali sopra citate ha paralizzato l’attività dell’Associazione ambientalista forse più attiva nell’indagare e denunciare reati ambientali urbanistici ed edilizi di responsabilità dei c.d. poteri trasversali locali…”
Per approfondimenti sulle massomafie rimando all’intervento di Pietro Palau Giovanetti Presidente di Avvocati senza Frontiere e al documento allegato (Fratellanza giuridica).
Roberto Giurastante
*Le vicende delle battaglie sostenute dagli Amici della Terra di Trieste sono raccontate nel libro-inchiesta “Tracce di legalità”.