COSA ACCADREBBE SE…

La sottovalutazione delle conseguenze di un disastro nucleare a cui si assiste in Italia pur di fronte alla drammatica realtà dell’apocalisse giapponese, è il frutto di una politica consolidatasi nel corso degli anni: quella della negazione della prevenzione. Una politica che ha avuto pesanti conseguenze sullo stesso sviluppo del Paese. Prevenzione significa infatti “prevedere” e adottare le adeguate misure per ridurre gli effetti degli eventi catastrofici naturali e non. Che possono essere terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, alluvioni, ma anche incidenti rilevanti causati dall’uomo (vedi impianti industriali e nucleari). Prevenzione significa anche non costruire in zone geologicamente instabili, o nelle aree di esondazione dei corsi d’acqua, o a ridosso dei vulcani. E costruire le strutture secondo rigorosi criteri antisismici. Insomma, norme dettate dal buon senso e che eviterebbero lutti e spese inutili.

E proprio sul nucleare la necessità della prevenzione è massima. Un’emergenza radiologica non può essere affrontata come una normale catastrofe naturale. In caso di fall out radioattivo o tutti sanno già perfettamente quello che devono fare, oppure i morti si conterebbero a decine di migliaia.

Eppure in questo momento nell’Italia del “piano nucleare nazionale” – peraltro ancora misterioso – con cui il governo punta fortemente alla costruzione di centrali atomiche per assicurare l’autosufficienza energetica al Paese, il piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche (approvato solo nel marzo del 2010 e dopo che l’Italia era stata sottoposta ad un procedimento di infrazione comunitario) risulta essere ancora decisamente inadeguato (oltre che sconosciuto) per affrontare anche un semplice incidente; figurarsi una catastrofe nucleare.

Ma cosa accadrebbe se una centrale nucleare ai confini dell’Italia dovesse avere un incidente severo a causa di un guasto, di un errore umano, oppure di un terremoto?

Mettiamo a disposizione sul nostro sito lo studio (clicca qui per la versione italiana o qui per la versione inglese) indipendente del dott. Giuseppe Nacci medico chirurgo specialista in medicina nucleare che analizza le conseguenze di un grave incidente alla centrale slovena di Krško a 120 km dal confine Nord Orientale italiano. La centrale è costruita in area sismica.

Dall’introduzione dello studio “La minaccia della centrale atomica di Krško”:

“Supponiamo che a Krsko, venga a crearsi l’incidente più grave che possa accadere in un reattore ad acqua, e cioè la perdita totale del liquido usato per raffreddare il nocciolo di uranio. In questa disgraziata eventualità, il nocciolo di uranio si surriscalderebbe, il materiale fuso entrerebbe in contatto con l’acqua delle turbine, trasformandola in vapore, e questo causerebbe lo scoperchiamento del recipiente di contenimento con conseguente fuoriuscita del materiale radioattivo. Supponiamo ancora che, a causa di questa esplosione, nell’aria vengano emessi un terzo di tutti i nuclei radioattivi presenti nel reattore.
Secondo vecchi studi di oltre 30 anni fa, in un incidente di questo tipo la radioattività del materiale fuoriuscito ammonterebbe a circa un miliardo e mezzo di Curie e la nube radioattiva, con un vento di 24 km/h presenterebbe un’estensione di contaminazione pesante (Fall out nero) del raggio di 68 km dalla centrale di Krsko. A questo punto da parte nostra è possibile stimare diversi livelli di contaminazione radioattiva che si avrebbero su Trieste e sul Friuli….”