TRA I 159 COMUNI SOTTO ACCUSA PER GLI SCARICHI REFLUI NON DEPURATI, SETTE  HANNO RICEVUTO IL RICONOSCIMENTO DELLA FFE (FOUNDATION FOR ENVIRONMENTAL EDUCATION) PER LA QUALITA’ AMBIENTALE. ANCHE TRIESTE SUL BANCO DEGLI ACCUSATI

Trieste, 3 giugno 2012

Il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Europea per il cattivo trattamento delle acque reflue sta portando ad un maxi processo ambientale in cui confluiscono le denunce sulle situazioni a più alto rischio che riguardano prevalentemente l’inquinamento marino. Dodici le Regioni sotto accusa: Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Veneto, Sicilia, Toscana. Dal Nord al Sud un quadro desolante  di come nel “Bel Paese” si intenda il rispetto delle normative comunitarie in materia ambientale e di salute pubblica.

All’Italia viene contestata la violazione della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane.

Centocinquantonove (159) i Comuni fuorilegge. E tra questi non manca Trieste e il suo principale depuratore fognario che in questi anni ha provveduto ampiamente a degradare l’ecosistema marino del piccolo Golfo di Trieste. Un ambiente chiuso a lento ricambio delle acque, nel quale sono stati scaricati per decenni reflui non depurati e smaltiti rifiuti industriali altamente tossici. Un pesante inquinamento transfrontaliero ai confini delle acque territoriali prima della Jugoslavia ed ora della Slovenia e della Croazia.

Nella richiesta di deferimento (causa C565/10) la Commissione Europea chiedendo la condanna dell’Italia alle spese di giudizio aveva sottolineato che:

“La Commissione constata anzitutto varie violazioni dell’art. 3, nn. 1, primo trattino, e 2, della direttiva, ai sensi del quale gli Stati membri erano tenuti a provvedere affinché, entro il 31 dicembre 2000, tutti gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15 000 fossero provvisti di reti fognarie per le acque urbane conformi ai requisiti dell’allegato I A. In vari agglomerati delle Regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Molise, Puglia, Toscana e Sicilia rientranti nell’ambito di applicazione della disposizione di cui trattasi tale obbligo non sarebbe stato soddisfatto in modo corretto. L’art. 4 della medesima direttiva prevede, inoltre, ai nn. 1 e 3, che, al più tardi entro il 31 dicembre 2000, gli Stati membri avrebbero dovuto provvedere affinché per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie fossero sottoposte, prima dello scarico ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, conformemente ai requisiti previsti dall’allegato I B della stessa direttiva. La Commissione ha constatato il mancato rispetto della disposizione in parola in una serie di agglomerati nelle Regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Molise, Puglia, Veneto e Sicilia. Il mancato rispetto dell’art. 4 della direttiva comporterebbe nella maggior parte dei casi anche la violazione dell’art. 10 della summenzionata direttiva, secondo cui la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane dovrebbero essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali”. 

Curiosamente tra i 159 Comuni “deferiti” alla Corte di Giustizia Europea per gli scarichi fognari fuori norma, sette (Follonica, Piombino, Menfi, Pozzallo, Marina di Ragusa, Finale Ligure, Sanremo) risultano avere ottenuto la bandiera blu 2012 per la qualità delle loro acque di balneazione. Nell’isola di Capri il cui Comune è pure nella lista nera, la bandiera blu è stata assegnata al Comune confinante di Anacapri.

Nella lista nera primeggia la Sicilia con 75 agglomerati, seguita da Campania e Calabria (22), Liguria (14), Puglia (12), Abruzzo e Friuli Venezia Giulia (3), Lazio, Molise e Toscana  (2), Marche e Veneto (1).

Da considerare comunque che la Commissione Europea utilizza quale parametro di riferimento gli agglomerati urbani che in alcuni casi comprendono più Comuni allacciati alla stessa rete fognaria. In Abruzzo ad esempio l’agglomerato di Chieti (capoluogo 51.600 abitanti) genera un carico inquinante di 73.000 a.e. (abitanti equivalenti) comprendendo non solo il Comune capoluogo (nella sola provincia di Chieti sono state assegnate sei bandiere blu), nel Friuli Venezia Giulia l’agglomerato di Cervignano genera un carico inquinante pari a 237.660 a.e. (il Comune di Cervignano ha solo 13.600 abitanti) servendo buona parte della bassa pianura friulana. Il Comune di Cervignano confina con quello di  Grado una delle bandiere blu della Regione Friuli Venezia Giulia.

Per capire quale sia la difesa dello Stato italiano di fronte alle contestazioni della Commissione Europea basta andare a leggersi gli atti dell’accusa. Il metodo adottato ampiamente è stato semplicemente quello di comunicare dati falsi alle istituzioni comunitarie per evitare il deferimento alla Corte di Giustizia. Si veda ad esempio il caso di Zagarolo, Comune del Lazio di cui si riporta il rapporto della Commissione Europea:

“Le autorità italiane, in risposta al parere motivato, indicano che il carico inquinante generato dall’agglomerato centro urbano di Zagarolo è pari a 7.500 a.e., spiegando che la riduzione del carico (precedentemente era indicato un carico pari a 20.889 a.e.) è dovuta ad un errore di trascrizione. La Commissione non accetta la riduzione del carico proposta dalle autorità itaiane. Infatti, non soltanto l’errore di trascrizione sembra poco plausibile, ma da fonte Istat, il comune di Zagarolo ha una popolazione residente pari a 17.328 abitanti. Sebbene le autorità italiane si riferiscano al centro urbano di Zagarolo, informazioni disponibili su internet mostrano continuità e sufficiente concentrazione tra il centro urbano e le aree limitrofe tale da costituire un agglomerato ai sensi della direttiva 91/271.
Come abbiamo visto sopra, la giurisprudenza della Corte ha stabilito che uno Stato membro non può liberarsi dall’obbligo di adempiere alla direttiva 91/271/CEE semplicemente dichiarando un carico inferiore a quello precedentemente dichiarato, senza giustificare la riduzione del carico. Nel caso di specie, la riduzione del carico non solo non è giustificata, ma è anche smentita da dati di provenienza ufficiale (ISTAT). La Commissione proseguirà pertanto la propria analisi di non conformità con gli articoli 3 e 4 della direttiva 91/271 basandosi sui dati precedentemente forniti dalle autorità italiane stesse e che indicavano un carico inquinante pari a 20.889 a.e.
Per quanto riguarda gli obblighi di collettamento, le autorità italiane dichiarano che un carico pari a 7.500 a.e. è collettato mediante rete fognaria. Ebbene, poiché il carico inquinante generato non corrisponde a 7.500 a.e. ma a 20.889 a.e., è evidente che i reflui fognari corrispondenti a 13.389 a.e. non sono convogliati in un sistema di rete fognaria o avviati a trattamento individuale. La Commissione pertanto conclude che l’agglomerato di Zagarolo non dispone di una rete fognaria adeguata a collettare tutto il carico inquinante generato, in violazione dell’articolo 3 della direttiva 91/271.

Per quanto riguarda gli obblighi di trattamento, le autorità italiane dichiarano, in risposta al aprere motivato, che l’agglomerato di Zagarolo è dotato di un impianto did epurazione (trattamento secondario) con capacità di 7.500 a.e. E’ giocoforza constatare che l’impianto esistente non dispone della capacità adeguata a trattare tutti i reflui prodotti dall’agglomerato di Zagarolo, che equivalgono a 20.889 a.e. e non a 7.500 a.e., poiché la riduzione del carico non è giustificata e al contrario è smentita da fonti attendibili. La Commissione pertanto conclude che per quanto riguarda l’agglomerato di Zagarolo, esso non rispetta l’articolo 4 della direttiva 91/271”.

Nel caso del Comune di Manduria (Puglia, provincia di Taranto), le “fantasiose” autorità italiane per scampare all’infrazione avevano dichiarato che nell’agglomerato di Manduria era stato inserito il Comune di Sava e che a seguito di questa unione era diminuito il carico inquinante!! Dagli originari 47.789 a.e. di Manduria si era passati, dopo la fusione con Sava, a 29.900 a.e. Piccolo particolare: il Comune di Sava da solo portava 55.000 a.e.

Ovviamente la Commissione Europea non ci è cascata, precisando che:

“La Commissione non accetta che la fusione di due agglomerati abbia come risultato che il carico inquinante generato dal nuovo agglomerato sia inferiore alla somma dei due (e, nel caso di specie, inferiore addirittura al minore). Inoltre, risulta da fonte ISTAT che il comune di Manduria conta 31.757 abitanti residenti e che il comune di Sava conta 16.836 abitanti residenti. Come abbiamo visto sopra, il numero di abitanti equivalenti è necessariamente più alto del numero degli abitanti residenti, poiché a questi si devono aggiungere la popolazione fluttuante (turisti, pendolari, eccetera), nonché le industrie e i commerci”.

Sul procedimento di infrazione in corso dal 2007 non si può fare a meno di evidenziare il ruolo negativo degli organi di informazione italiani che da anni stanno semplicemente “oscurando” ogni notizia in merito, nascondendo così ai cittadini una realtà non solo preoccupante per l’aspetto ambientale ma, come evidenziato dalla stessa Commissione Europea, anche per la salute pubblica.

A Trieste questa ferrea “censura”, che riguarda ogni notizia non gradita alle istituzioni (italiane ovviamente), si trasforma poi anche in campagne di distorsione della realtà con la pubblicazione di notizie false e tendenziose. Un’informazione da vero regime di Stato. Uno Stato marcio e corrotto.

Causa C565/10: il ricorso della Commissione Europea contro l’Italia