2.300.000 EURO PER LA MESSA IN SICUREZZA (??) DI UNA CHIESA A TRIESTE

In Italia (ma anche nell’attuale Territorio Libero di Trieste) i luoghi di culto della Chiesa Cattolica appartengono in buona parte allo Stato o alle amministrazioni pubbliche locali che ne devono curare quindi la manutenzione. Si tratta di un onere certamente gravoso ma necessario per tutelare un grande patrimonio artistico e rendere accessibili a fedeli e visitatori queste strutture. Ma, come immaginabile, anche questi interventi non sfuggono al controllo dei sistemi di corruttele che governano inflessibilmente il Bel Paese (e il TLT). Un caso emblematico della gestione di questi affari tra sacro e profano è ben rappresentato dalla vicenda della chiesa di San Antonio Taumaturgo di Trieste, uno dei principali e monumentali luoghi di culto della capitale del Territorio Libero situato sul suggestivo canale di Ponterosso.

A seguito di un grave incendio di dubbia natura verificatosi sul tetto della chiesa nel 2001, l’intero edificio venne messo in sicurezza con procedura di massima urgenza. L’incendio aveva prodotto danni tali da compromettere l’intera volta dell’edificio con gravi rischi per i frequentatori. Ma la precisa perizia del consulente tecnico d’ufficio nella quale veniva messa in evidenza la gravità della situazione venne definita allarmistica dal Comune di Trieste proprietario dell’edificio e quindi obbligato a porre rimedio alla situazione. Il tecnico venne così estromesso brutalmente dall’incarico mentre il Comune affidava la gestione della messa in sicurezza ad altro professionista di fiducia il quale smentiva categoricamente le dichiarazioni del suo predecessore assicurando l’inesistenza di rischi e garantendo l’esiguità del costo per la riparazione dei danni quantificato in circa 26.000 Euro dell’epoca.

Sono passati ormai dieci anni, e quel “limitato” intervento per rendere agibile la chiesa si è trasformato in una voragine senza fondo per le casse pubbliche. Fino ad ora sono stati assegnati dal Comune ben 2,3 milioni di Euro per quella che è diventata una messa in sicurezza d’emergenza senza fine e senza soluzione.

Lavori inutili che innescano un vorticoso giro di affari a favore del sistema degli appalti dominato dal potente cartello dei costruttori locali. Un sistema prettamente mafioso che non tollera intrusioni di sorta. Un sistema granitico che a Trieste si è potuto affermare senza ostacoli grazie alla forte penetrazione massonica e dei servizi di sicurezza (spesso deviati) anche a livello istituzionale.

Ecco così che l’unico elemento “estraneo” nella vicenda della chiesa di San Antonio, ovvero l’onesto primo consulente tecnico d’ufficio, veniva punito in maniera esemplare venendo emarginato dal mercato per non essersi piegato al cartello del malaffare.

Perché in un’area ad alta densità mafiosa puoi lavorare solo se la “cosca” è d’accordo o ne fai parte. Una condanna perpetua alla miseria e all’esilio, questo è quello che spetta a coloro che non accettano le regole del “sistema Trieste”. Ma per completare questa azione di isolamento è anche necessario che l’autorità giudiziaria nulla veda di quanto sta accadendo. E così è stato anche questa volta.

L’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Trieste sull’incendio del tetto della chiesa portava dopo sei anni ad un nulla di fatto: nessun responsabile. Mentre il primo consulente tecnico d’ufficio (l’unico pulito nell’intera vicenda)  veniva pure accusato di avere rilasciato false dichiarazioni ai fini di dimostrare un danno e un pericolo inesistente senza peraltro venire incriminato.

L’avvio di un procedimento penale a suo carico gli avrebbe permesso di difendersi mettendo così a rischio il castello di menzogne su cui era stato costruito l’affare della chiesa delle mafie e delle massonerie deviate. Meglio mettere a tacere tutto quindi. E lasciare che la prescrizione nei confronti degli uomini del sistema facesse il suo corso. Storie di ordinaria corruzione morale e materiale nell’ordinato Nord Est delle mafie occulte.